Le carte postali

Con la nascita in Europa occidentale di un servizio postale organizzato, universale e regolare per il trasporto di lettere, persone e cose, nel XVI secolo, cominciarono a diffondersi le guide postali e, dal XVII, anche le grandi carte stradali. Tuttavia la produzione di cartografie in cui fossero indicate anche le strade e il reticolo da esse formato è minima rispetto alla produzione complessiva di carte territoriali geografiche e corografiche.

La descrizione del territorio e del mondo conosciuto attraverso l’opera del geografo era invenzione già intervenuta nel mondo classico, compendiata nel lavoro di Claudio Tolomeo, che con l’aiuto dell’astronomia e con la notevole possibilità di consultazione della Biblioteca Alessandrina, aveva pubblicato nel II secolo, in età antoniniana, una lista di coordinate geografiche di 8.000 luoghi del mondo allora conosciuto, che rimasero in uso per più di un millennio.

Erano usate anche realizzazioni cartografiche del territorio ottenute con osservazioni dirette e resoconti di viaggiatori e con le nozioni allora conosciute di geometria. Erano disegnate con metodi euristici, applicando una tecnica di irradiamento in coordinate polari: da un punto di osservazione centrale si individuavano gli oggetti notevoli nei dintorni mediante direzioni e distanze. Affiancando diversi centri di irradiazione si arrivava a formare una rete che copriva vasti territori e permetteva anche una certa correzione degli errori. Questa tecnica policentrica fu portata all’eccellenza nel mondo romano, grazie anche alla rete di strade consolari, che si può interpretare anche come un’operazione di rilievo su grande scala, oltre che una rete che contribuì in modo significativo a disegnare la geografia del mondo romano. L’esempio più noto di cartografia romana è la Tabula Peutingeriana, copia medievale di una carta stradale dell’impero romano.

In età medievale e moderna la cartografia progredì grazie all’innovazione tecnologica della bussola, che permise di definire poligonali orientate; il perfezionamento di quello strumento, associato ad altri per la misura di angoli orizzontali, permise di costruire triangoli collegati tra loro sino a formare una rete che copriva territori sempre più vasti, costituendo l’ossatura per le prime carte moderne. Grazie a ciò, tra la fine del XV e l’inizio del XVII secolo, la cartografia europea passò da rappresentazioni pittoriche realizzate con metodi empirici all’applicazione rigorosa della triangolazione e quindi alla nascita delle carte moderne.

Le carte di epoca quattro-cinquecentesca erano di produzione soprattutto artigianale e privata, mentre dalla seconda metà del Cinquecento i governi cominciarono ad interessarsene, per motivi amministrativi, catastali, politici e militari, promuovendo la raccolta di dati e la rappresentazione dei propri territori. Tali carte si occupavano soprattutto di descrivere le caratteristiche geografiche del territorio, senza insistere sulla rete stradale, com’è del resto naturale in un’epoca prepostale, quando non era ancora ben definito né realizzato il concetto di “strada” modernamente inteso, cioè come una via ben tracciata, dal percorso univoco e non modificabile, carrozzabile, manutenuta, dotata di infrastrutture come le stazioni di posta.

Non mancarono naturalmente alcuni casi isolati di rappresentazioni di strade; fra le più antiche se ne registrano due. La prima è una carta anonima della Lombardia, forse del 1440, conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi, in scala circa 1:400.000 che riportava le strade (su molte di queste erano indicate anche le distanze), nonché i ponti ed altre opere d’arte; era probabilmente una carta militare. La seconda è una carta, più o meno dello stesso periodo, del territorio veronese (alla scala 1:150.000) che forse è il primo esempio di cartografia di tipo moderno, costruita per irradiamento su dati di distanza e direzione lungo le strade che partivano da Verona.

Nel pieno Seicento la produzione cartografica europea, ormai tecnicamente affinata, diviene copiosa e di qualità e – poiché era ormai giunto a piena maturazione il processo di sviluppo della posta moderna– in questo grande ambito cartografico si colloca la produzione di cartografia stradale e postale, ovvero della riproduzione sulla carta delle grandi strade di comunicazione e della loro ‘postalizzazione’.

La prima grande carta dichiaratamente postale apparve in Francia nel 1632, opera del cartografo Nicolas Sanson d’Abbéville e dello stampatore Melchior Tavernier: s’intitolava Carte géographique des postes. Un altro esempio precoce è l’inglese carta Britannia. Description of the principal roads thereof, di John Ogilby, realizzata a Londra nel 1675. In queste carte, le strade sono inserite nel loro contesto ambientale con precisi dettagli topografici.

Le motivazioni tecniche delle carte postali (così erano chiamate: ma s’intenda stradali/postali) cioè l’utilizzo pratico da parte di coloro che viaggiavano in posta o dei professionisti postali, fece sì che, nella maggior parte, questa produzione non fosse originale, ma basata su carte geografiche già esistenti, soprattutto per le regioni che potevano già vantare una ricca tradizione cartografica. Vi si riscontrano perciò gli elementi comuni a quella produzione (i margini graduati secondo i valori astronomici, le scale grafiche, la rosa dei venti) accanto a caratteristiche specificatamente postali, come l’indicazione precisa delle strade e delle poste e le conseguenti notazioni nei titoli (carta delle poste o simili). Spesso il titolo era preceduto da nuova o nuovissima, perché un’altra caratteristica specifica di questa produzione era il rapido aggiornamento e le frequenti ristampe.

La scala utilizzata era normalmente piccola, in modo da raffigurare ampie porzioni di territorio e permettere una percezione immediata della rete postale che per propria natura si distendeva su spazi di grandi dimensioni.

Tra le prime carte postali italiane vi è L’Italia con le sue Poste e Strade Principali, disegnata da Giacomo Cantelli da Vignola, geografo del duca di Modena, e pubblicata a Roma nel 1695 da Domenico de’ Rossi, in una edizione molto bella ed ornata a colori. L’autore era ben conscio della specificità e dell’importanza della rappresentazione delle poste, cioè delle strade: nella dedica al principe Michele De Tassis, Corrier Maggiore perpetuo di «Sua Maestà Cattolica», ossia dell’imperatore asburgico, scriveva: «ben vede l’E.V. qual debito corra alla Terra di applaudire con voci di gratitudine alla sua Ecc.ma Casa, da cui coll’introduzione delle Poste, riconoscè il singolarissimo beneficio di esser divenuta Patria comune».

La carta di Cantelli-de’ Rossi possedeva alcune caratteristiche specificatamente postali – sia ornamentali sia tecniche – che la distinguevano da altre coeve e che poi si troveranno, in forme sempre più raffinate e codificate, nella vasta produzione successiva di cartografia postale. Dal punto di vista ornamentale, nei fregi, nei cartigli e nelle decorazioni si colgono evidenti riferimenti al tema, con disegni del corriere o della diligenza, nonché di numerosi corni di posta. Dal punto di vista tecnico, gli itinerari postali erano evidenziati rispetto dagli altri grazie ad un disegno più minuzioso ed al maggior utilizzo di dettagli, come l’uso del colore per segnalare le variazioni geografiche del territorio; le stazioni di posta erano indicate con corni di posta ovvero, per stazioni minori, con altri simboli grafici (asterischi o simili). Questi ed altri elementi si ritrovano nella produzione successiva, abbinati a cartigli di legenda che, oltre al titolo e all’eventuale dedica, erano gli strumenti che caratterizzavano le carte postali e ne permettevano l’interpretazione e la lettura.

Due gli aspetti tecnici postali più interessanti e caratterizzanti che, oltre all’indicazione delle stazioni, identificarono le carte postali dal Settecento e sino all’Ottocento avanzato. Il primo era la segnalazione dei diversi tipi di servizio postale che vi veniva svolto: generalmente una linea continua indicava servizio con diligenze, una continua ed una tratteggiata affiancata servizio solo a cavallo, due continue ed una tratteggiata il servizio misto. Il secondo elemento era l’indicazione delle distanze, espresso in “poste”, unità di tempo, e non in unità di lunghezza. A metà fra due stazioni, un trattino verticale indicava la distanza di una posta, due trattini, la distanza doppia, mezzo trattino la metà, con possibilità di combinazioni.

Tra la fine del Settecento e l’Ottocento le carte postali subirono una nuova evoluzione. Si diffusero sempre di più le carte particolari di un territorio ristretto, a scala maggiore, e contemporaneamente si perdette (anche in sintonia con il gusto e la sensibilità dell’epoca) il grande apparato ornamentale, per privilegiare gli aspetti tecnici e funzionali della carta. La descrizione pittorica della geografia dei luoghi diminuì sempre più, sino a scomparire del tutto, mentre si evidenziò la caratterizzazione delle strade e dei servizi offerti, spiegando con gran dovizia di simboli il tipo di strada (maestra postale, per i messaggeri, per i pedoni, commerciale eccetera) e i servizi postali, distinguendo fra stazioni di posta cavalli e uffici di posta lettere, indicando di tutti questi anche i differenti gradi e categorie (da cui dipendevano i servizi offerti).

Vi fu un’evoluzione anche negli aspetti estrinseci delle carte: in un’epoca già turistica, queste grandi carte cominciarono ad essere montate su tasselli rigidi distanziati fra loro, in modo da essere ripiegabili per il comodo dei viaggiatori.

Bruno Crevato-Selvaggi

© Bruno Crevato-Selvaggi e Istituto di Studi Storici Postali “Aldo Cecchi”, 2021